Nella mia mente ogni livello è rappresentato da un gigantesco gradino colorato.
Vado
per gradi (non per gradini colorati, per ora) e parto da quando sono
entrato al Maxxi.
Sono
entrato al Maxxi (già...) con il grande entusiasmo di vivere il
volume architettonico e con un minimo, aeriforme interesse per i
pezzi d'arte inseriti dentro.
Aggirarsi
per il Maxxi è una bella esperienza, è un edificio libero nelle
forme ma in realtà molto controllato da un'architettura devota allo
scopo, che si infila nel tessuto urbano romano e si sviluppa attorno
agli ambienti espositivi con grande cura del dettaglio, della
forma geometrica degli ambienti e con interessanti soluzioni tecniche sparse
qua e là.
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foto dal sito Zaha Hadid Architects |
Può
succedere a tratti di perdere coscienza della forma che si sta
visitando. Io e i miei amici abbiamo verificato più volte, mappa
alla mano, di aver visitato proprio tutti gli ambienti, temendo di
esserci persi qualcosa. Perchè l'edificio è lievemente labirintico:
si parte a passeggio, si girella, si vive l'esperienza, ma dopo un po'
ci si inizia a chiedere ma lì come ci si arriva? Ma lì ci siamo
stati? Strano perchè in fondo non è enorme.
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foto dal sito Zaha Hadid Architects |
L'inserimento
nel contesto è ben fatto. L'edificio non fa a pugni con l'urbano
romano, anzi si connette in modo garbato. Inoltre dall'interno in più
di un punto si vede la città Roma entrare nel Maxxi, con
piacevolissime vedute. Bene!
Nel
complesso, valutazione molto positiva all'architettura.
Posto qui un link ad una collezione fotografica del mio amico e collega architetto Vincenzo, che ha partecipato alla progettazione, nella quale si trovano molte bellissime foto dell'edificio, anche in fase di cantiere. E con l'occasione gli mando un saluto!
Tornando
ai livelli di separazione (...i gradoni colorati), tra il progetto
del Maxxi e la progettazione che caratterizza il mio lavoro ce ne
sono circa... uno. Già, perchè l'architettura contemporanea, per come la vedo io, è divisa in due parti, e nel mezzo c'è una profonda spaccatura:
la prima parte è rappresentata dalla super-architettura delle
archistar, che comprende Il Maxxi e l'auditorium di Renzo Piano, i
musei Guggenheim, il Burj Al Arab e tutte le opere che, con grandi
budget, confusione e fantasia tracciano la storia dell'architettura
contemporanea, che gli uomini del futuro nei loro libri di storia
chiameranno probabilmente "Era dell'Architettura Vaga e Fuori
Controllo". La seconda è quella a dimensione umana, ammantata
di una versione opaca del vestito luminoso dello stile
architettonico, che nasce da esigenze urbanistiche di mediazione e di
preservazione e da proiezioni economiche e commerciali, e l'edificio
progettato è l'emblema dello sforzo grande dell'architetto di donare
una personalità al palazzo che tenderebbe a sorgere come mero
agglomerato di abitazioni e altre destinazioni non residenziali, uguale a tanti altri, da
costruire con tecniche note e collaudate.
L'edificio
come concetto nasce in un posto come l'ufficio tecnico in cui lavoro, dove vengono recepite indicazioni a volte illuminanti e a volte da approfondire, spunti, richieste. Poi ci si lancia in un
procedimento veloce da cui deve emergere il
progetto, l'architettura. Alla richiesta segue la proposta, all'esigenza segue la soluzione. L'edificio viene progettato affrontando duramente i limiti imposti dai tempi, dalle leggi urbanistiche, dal piano economico e dalle esigenze commerciali, e si crea architettura. Camminando per i nostri cantieri vedo le
nostre produzioni intellettuali che vengono costruite, e diventano
vere, e mi chiedo... quanto siamo bravi? Come facciamo a condensare in un tempo predeterminato, e sempre troppo breve, il processo storicamente lungo e faticoso che è la
creazione dell'architettura, e comunque riuscire a uscirne vincitori
con delle produzioni soddisfacenti ed apprezzate dal mercato?
Evidentemente siamo una squadra eccezionale. Gli studi delle
archistar dovrebbero invidiarci, siamo dei fenomeni.
E
dire che da dentro sembra diverso, le mie giornate passate nel mare
degli argomenti che si susseguono, in cui la gestione della procedura
urbanistica, i calcoli di normativa e il coordinamento delle professionalità interne ed esterne, mescolati con le
decisioni estemporanee sull'azzonamento dei lotti, sull'allineamento e sul passo della struttura o sul cucinino dell'appartamento bilocale (chiuso o aperto?)
appaiono come una battaglia, ed è come se nella mia squadra fossimo tutti
dotati di una racchetta da pelota con la quale prendere al volo gli
argomenti da sviluppare, trattenerli per il tempo
strettamente necessario per lavorarci e poi lanciarli di nuovo, augurandogli buona fortuna.
Passeggiando per i cantieri, quelle poche volte che posso perchè il mio ruolo attuale mi tiene purtroppo quasi sempre lontano dai luoghi di realizzazione, a volte fantastico che l'architettura vera la facciamo noi.
Passeggiando per i cantieri, quelle poche volte che posso perchè il mio ruolo attuale mi tiene purtroppo quasi sempre lontano dai luoghi di realizzazione, a volte fantastico che l'architettura vera la facciamo noi.
...
Sfruttando
sfacciatamente il controllo assoluto e totale e supremo che ho sul
mio blog, mi collego a questo punto a John Haldeman parlando della
mia squadra di lavoro e del mio ufficio in generale.
Di
recente ho letto "Verso le Stelle", libro di mezzo di una
trilogia di cui non ho letto gli altri due. Parla, detto in troppo
poche parole, di un gruppo di astronauti che viene spedito verso una
stella lontanissima per contattare una razza aliena potentissima che
potrebbe avere brutte intenzioni, nella speranza che questa sia
disposta ad ascoltare i motivi dei terrestri prima di distruggere
l'umanità.
L'equipaggio
è molto eterogeneo, c'è il pilota, il medico, qualche mlitare e
anche spia, un filosofo, due marziani con quattro gambe dotati di una
mente che ragiona secondo regole diverse da quella umana, e qualche
altro personaggio chiave per la trama.
Il
viaggio dura tanti anni. Recensione del libro: ottimo, divertente.
Il
romanzo è tutto narrato in prima persona da questi membri
dell'equipaggio e l'aspetto veramente stimolante è che il lettore
segue la trama attraverso i pensieri di ogni personaggio tratti dal
rispettivo diario di bordo personale, che gli altri astronauti non
potranno leggere. Marziani inclusi. Il libro presenta le parti dei
vari diari con titoli piuttosto vaghi, che lasciano il
lettore libero di, anzi sfidano il lettore a capire quale degli
astronauti sia la voce narrante in ogni capitolo. Ho trovato queso espediente
molto divertente, e a volte ho sbagliato ad attribuire le parole al
rispettivo personaggio, rendendomi conto dell'errore solo dopo
qualche pagina.
Il
team di astronauti collabora in modo esemplare per lo scopo comune
della missione, dibattendo in modo estremamente educato ed
intelligente sul da farsi di volta in volta, ma dai diari emergono
dubbi, sfiducia, sospetti, ossessioni, insicurezze. A volte questioni
di amore e odio. Al di fuori di tutto ciò che riguarda la missione,
gli uomini e le donne dell'astronave sviluppano rapporti al limite
della paranoia nel corso dei lunghi anni luce che devono percorrere. Intanto avvengono scambi interculturali, c'è chi si astrae studiando o
componendo musica. Giocano insieme a biliardo, si allenano, si
dedicano al sesso (tanto).
Poco
fa stavo scrivendo del mio team di lavoro, e in modo più esteso del
mio ufficio. Gente che lavora in nome di un comune obiettivo. Chiusi
in un microcosmo che sembra l'astronave, noi parliamo di urbanistica,
architettura ed edilizia attorno a tavoli di lavoro.
Con
divertimento mi chiedo: cosa succederebbe se io leggessi la storia
del mio ufficio attraverso pagine anonime di diari? Riuscirei a
riconoscere l'autore del capitolo dalla lettura dei suoi pensieri sulla
vicenda della più recente convenzione urbanistica? Quello che
troverei in quelle pagine mi sorprenderebbe?
Quando
un agglomerato umano lavora per uno scopo comune, tale scopo comune è
l'unica parte veramente in comune tra le persone. Ognuna in realtà
legge la situazione differentemente, e vive il rapporto con il resto
del gruppo in modo diverso, proprio come succede a quegli astronauti.
Le ambizioni, gli odi e le simpatie, le alleanze, le vendette
trasversali. Gli abbracci e gli screzi. I segreti.
Dietro
all'organigramma di ogni azienda si nasconde un microcosmo di
imprevedibilità, è noto. Ma io, immaginando di leggerne il libro,
mi pongo le seguenti domande: intuirei l'autore di ogni paragrafo? Oh,
si. I contenuti mi sorprenderebbero? Al contrario, credo che li immaginerei in anticipo.
Credo
di conoscere anche troppo bene il mio microcosmo edilizio. Non sono
un osservatore, ma se mi si lascia abbastanza a lungo all'interno di
un gruppo riesco a trarre conclusioni in ottima parte giuste,
incrociando la logica e l'intuito, abbracciando l'ovvio, costruendo
sul telaio delle apparenze, premiando le conclusioni più semplici,
anche se strane. Non si possono sempre cogliere i dettagli ma gli schemi sono sempre
evidenti. Come nella Psicostoria di Hari Seldon. Sono un buon
deduttore.
Ma
è giusto addentrarsi in questo tipo di analisi se si parla di un
ufficio e di un team di lavoro? No, non lo è. Anche se il rapporto tra colleghi si presta all'analisi delle dinamiche di gruppo ed è divertentissimo arrivare
a riconoscere gli entusiasmi e le paure nascosti da ognuno, non è
cosa da fare. Quindi lasciamo stare, l'ufficio è
lavoro e la professionalità consiste anche nel vedere delle persone
ciò che va visto, senza guardare troppo oltre.
Alzi
la mano chi pensa che questo post sia un delirio.
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